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Death - "Symbolic" 24/06/2007
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DEATH – “Symbolic”

Si dice che la morte prematura proietti artisti, atleti, personaggi pubblici nella dimensione del mito. Di leggende artificiali, a volte incomprensibili, è pieno l’empireo dei Grandi musicisti: figure che hanno contribuito a creare il gusto del pubblico, spesso al di là della pura caratura artistica della loro proposta. Un po’ in disparte, nei Campi Elisi, vivono invece quei personaggi che hanno saputo costruire la loro leggenda terrena senza dover attendere il momento del trapasso per essere consacrati, riconosciuti, accreditati di un ruolo fondamentale. Chuck Schuldiner, chiarimento forse superfluo, appartiene a questa elite. E “Symbolic”, sua (la band è un magico strumento al servizio della sua creatività, specialmente il formidabile Gene Hoglan) penultima fatica in studio – almeno con il seminale monicker Death – rappresenta uno dei tasselli fondamentali di una carriera in ascesa pressoché continua. Trasversale, incompresa a tratti, ma in ultima analisi onesta, creativa, artisticamente ineccepibile. E se il death degli esordi è in questi solchi un ricordo sempre più sbiadito, annegato – e pur palpitante – tra armonizzazioni NWOBHM, sfuriate thrash, intermezzi acustici, un platter solido come “Symbolic” è e resta uno degli episodi più alti, ed in prospettiva progressivi, dell’intero patrimonio musicale estremo e non solo. Le esasperazioni tecniche di “Individual Thought Patterns” si fanno qui più compresse, strutturate, rivolte a spirale su volute musicali pregne di un gusto melodico che proromperà soltanto nello sconvolgente “The Sound of Perseverance”, mentre le sperimentazioni futuristiche di “Human” (capolavoro assoluto) vengono sostituite da un gusto per gli arrangiamenti che tradisce tutto il sincero amore di Chuck per il metal classico – e non è un caso che sia proprio questo, tra gli album dei Death, quello che più attrae i defender. A conti fatti va ammesso che il salto quantico cui solitamente Schuldiner ci aveva abituato è qui assente: non si tratta di un demerito qualitativo, bensì di un preciso passo evolutivo. “Symbolic” porta tra i suoi geni il DNA di ogni singola uscita dei Death, offrendo una miscela compatta, sintetica, liricamente elegante ed affilata come un rasoio delle intuizioni finora espresse – ed offre la base ad una rivoluzione (portata avanti anche con i Control Denied) il cui respiro è stato però mozzato sul nascere dalla tragedia. “Symbolic” perde così il fascino rivoluzionario, stupefacente dei migliori album di Chuck, ma guadagna in spessore, compattezza, efficacia: trovare un cedimento è pressoché impossibile (anche la produzione è finalmente all’altezza), dalla title track, articolata ed arrembante, alla seminale “Without Judgement”, passando per l’adrenalinica “1000 Eyes” e soprattutto la strabiliante, trasognata “Perennial Quest”, un cangiante affresco sonoro in cui confluiscono gli umori inquieti, vigorosi, positivi di un compositore che ha saputo imprimere a fuoco la sua firma sul metal mondiale. Anche senza essere un funambolo della sei corde. Semplicemente portando fantasia, passione, perseveranza a supporto di una fede incrollabile nella musica che amava.

Diego K. Pierini


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